È già la terza volta che provo l’attacco di questa storia, ma dopo poche righe mi fermo, rileggo e cancello tutto.

Ho l’impressione di diventare stucchevole e noioso, ed è l’esatto contrario di quello che vorrei arrivare a fare. Perché questa è una storia bella, di amicizia, impegno, voglia di lottare e soffrire, una storia di persone normali che, nel loro piccolo, si trasformano in una sorta di supereroi che affrontano viaggi interminabili, condizioni meteo proibitive, allenamenti a volte indecifrabili e a volte sfiancanti, fatiche incomprensibili, delusioni sportive e personali, il tutto giustificato solo dal piacere e la voglia di stare insieme ai propri compagni, per provare a raggiungere un traguardo comune, ed è qualcosa che può capire solo chi ha o ha avuto la fortuna di praticare uno sport di squadra.

Per noi del Verona Touch, per me in particolare, questa storia è iniziata 12 anni fa, e sabato 25 giugno scorso, un po’ inatteso ma non del tutto imprevisto, è stato come se un cerchio si fosse chiuso. 10 anni fa, il 30 settembre del 2012, avevamo raggiunto l’apice, vincendo il Campionato, quello sì inaspettato. Poi, sportivamente parlando, erano seguiti anni belli, anni con cocenti delusioni, anni un po’ più faticosi (quando tanti compagni e compagne di squadre hanno avuto sviluppi importanti per le loro vite), ci sono stati momenti di forte scoramento, momenti in cui ci siamo chiesti “ma chi me lo fa fare”, e poi di nuovo momenti di improvvise risalite, discese e infine una pandemia. Nonostante tutto questo, quando finalmente siamo riusciti a riprendere le attività, è sempre rimasto lo spirito della squadra, il senso di appartenenza a qualcosa, quella motivazione che ti dà la capacità di accettare tante situazioni scomode e impegnative. E questo lo si deve alle persone che fanno parte del gruppo: ognuno di noi è un tassello di un grosso e complicato puzzle, dove è facilissimo sbagliare e arrivare ad incasinare tutto, ma se becchi la giusta combinazione di pezzi, il risultato finale è spettacolare.

Ma è meglio andare con ordine, se no continuo a straparlare e a non concludere nulla come al solito.

Dicevamo, il 25 giugno giorno delle finali del Campionato Italiano. Cause di forza maggiore obbligano il cambio della sede, spostando l’evento a Villorba. Niente di grave, perché date le belle prestazioni durante la stagione e la vittoria del torneo de l’Aquila, il tabellone di quest’anno ci vede entrare in gioco dai quarti di finale, in tarda mattinata. Possiamo quindi prendercela con relativa calma, con sveglia ad orari accettabili, colazione serena e comodo arrivo alla struttura per procedere con l’installazione del super campo base, gentilmente offerto dal buon Roby, che in meno di 24 ore si è trovato catapultato dal dover pensare solo all’organizzazione del casino per il terzo tempo all’essere inserito in rosa, a causa della defezione obbligata del nostro Tabo.

La presa di possesso del campo è tranquilla, ma una volta indossate le magliette e allacciate le scarpe, inizia a salire la tensione. Che non sia un momento semplice diventa chiaro e lampante a tutti non appena Uto dovrebbe, vorrebbe, darci le ultime istruzioni: è allora che al nostro coach e capitano di centinaia di situazioni analoghe si blocca la voce ed esce un discorso continuamente interrotto da singhiozzi, facendo diventare evidente che c’è tanta aspettativa, emozione, voglia di rivincita e consapevolezza che si può fare qualcosa di grande dopo tanta fatica. Sarò onesto: di solito mi ricordo gran parte delle cose che succedono e ci diciamo durante i tornei. Questa volta però, appena ho sentito il mio capitano bloccarsi emozionato dopo aver provato a tirar fuori il solito vocione, il cervello si è chiuso e ho ripensato a tutto quello che ho vissuto in questo bel mondo del touch, alle tante facce che ho incrociato, ai viaggi, alle sconfitte, agli infortuni, alla fatica, alle gioie per le vittorie e ai dolori alle gambe, alle amicizie che si sono create. Non so cosa potesse frullare per la testa dei miei compagni, se stavano ascoltando Uto o se stavano anche loro rivivendo un personale viaggio, ma d’altra parte ci sono persone che hanno cominciato a giocare 9 mesi fa e non hanno tutto questo alle spalle, e quindi probabilmente mi stanno anche prendendo per un cretino.

Comunque, non so quale fosse l’esatto obiettivo del messaggio di Uto, ma deve essere stato particolarmente toccante, perché il risultato è che nella partita che andiamo a giocare, dire che nei nostri primi 10 minuti eravamo sotto tensione non rende a sufficienza l’idea. Si percepiva proprio che eravamo bloccati da quella paura di sbagliare che ti frena, ma non tanto perché ti darebbe fastidio fare un errore, ma perché sai che il tuo errore porterebbe un danno ai tuoi compagni, ed è l’ultima cosa che vorresti che succedesse.

Ma appunto, parliamo di questa prima partita, che ci vede affrontare la Touch Rugby Roma, un derby per il nostro Lorenzo. Loro hanno già giocato due partite, sono già in ritmo gara, hanno già superato l’emozione e sono perfettamente calati nella giornata. Il nostro avvio invece è un vero e proprio thriller: subiamo due punizioni consecutive per difesa che non avanza, garantendo quindi tre possessi pieni ai nostri avversari, ma riusciamo comunque a difenderci sempre; sulla risalita commettiamo un banale errore dopo il terzo tocco e tutto finisce in un nulla di fatto. Girandola di cambi, un paio di tentativi velleitari in tuffo, poi sul loro possesso finalmente cominciamo a muovere le nostre gambe in maniera utile e con un’ottima difesa aggressiva li forziamo all’errore. Mattia riceve palla, punta il piede, cambia direzione e vola indisturbato in meta. Dopo la ripartenza, conteniamo il loro attacco e sulla nostra risalita è Lollo che segna in tuffo. Piccola ingenuità difensiva e subiamo la meta del temporaneo 2-1. Questa marcatura sembra di nuovo far crescere la tensione perché fino alla sirena del primo tempo non riusciamo più a imbastire alcunché di pericoloso. Si va alla pausa, due parole per liberare la mente, ma negli sguardi di tutti si vede determinazione, non paura. Riprende la partita e, dopo aver resistito bene ad un paio di attacchi, su una risalita non ideale Lollo raccoglie da mediano e buca in accelerazione, Manu è al suo fianco e può comodamente ricevere per segnare il 3-1. Forse è il momento che ci dà la sveglia e taglia definitivamente le gambe a Roma, che fino a quel punto ci stava tenendo testa. Sulla successiva palla nostra, bella giocata fra Gigi e Mattia, palla che torna fra le mani di Gigi, che serve bene per Moira, che avrebbe anche la possibilità di provare a segnare in tuffo, ma sceglie la via relativamente più complessa con un bel passaggio lungo ad una solitaria Valeria che può comodamente segnare. A seguire, è Marcello che va in meta, ben servito ancora da Lollo, poi Uto sfrutta un tap sui 7 metri battendo e segnando senza grosso ostacolo da parte dei difensori, quindi c’è una meta tutta marcata dalla famiglia Bino, con Marcello a fare da assistman per Nicola e infine un’altra meta di Mattia che chiude i conti sull’8-1 finale. La semifinale è nostra e siamo tra le prime quattro squadre della stagione. Si tratta solo di capire in quale posizione.

Abbiamo un paio di ore di pausa, dove ognuno fa quel che preferisce: c’è chi sta sdraiato a sonnecchiare, chi mangia, chi va a guardarsi gli incontri degli avversari e chi gioca con i bambini, che sono parte integrante della squadra e sono con noi da sempre, capaci con una parola di farti scoppiare a ridere e allentare la tensione dell’attesa della prossima partita. E forse saranno anche una prossima generazione di touchers!

Si arriva così al momento della semifinale: gli accoppiamenti ci mettono di fronte ai Treviso Knights, che in questa occasione sono anche i padroni di casa. Sono forti, atleticamente e tecnicamente. All’ultimo torneo ci hanno letteralmente “asfaltato”, anche se non stavamo giocando con la nostra formazione ideale. Però sappiamo che possiamo metterli in difficoltà. Questa volta il discorso introduttivo è meno sentimentale e più mirato alla partita e può essere riassunto così: è sicuro che subiremo delle mete così come è certo che segneremo delle mete. Vincerà chi avrà più fame.

Partiamo in difesa e conteniamo il primo attacco, ma sulla nostra ripartenza perdiamo malamente il pallone senza arrivare nemmeno a metacampo. Torniamo a difendere e prima beneficiamo di una svista del nostro avversario che non si rende conto di essere in area di meta, ma subito dopo una nostra brutta difesa permette loro di passare in vantaggio. Riprende il gioco e immediatamente pareggiamo con una bella meta in tuffo di Lollo, imbeccato dall’onnipresente Marcello. Palla a Treviso, Valeria blocca ottimamente il loro primo tentativo, ma sul ribaltamento di fronte subiamo di nuovo meta a causa di una scivolata che mette fuori gioco il nostro Gianlu. Nessuna paura: si riparte dal centrocampo e immediatamente è di nuovo Lollo a ubriacare il difensore con un paio di cambi di direzione e segnare in tuffo. Riprendono palla, maestosa difesa in combinazione fra Valeria e Moira, ribaltamento di fronte, punizione per fuorigioco e altri sei tocchi per i nostri avversari. Conteniamo il primo affondo, ma poi ci viene fischiato un altro fuorigioco, questo abbastanza inspiegabile. Non riusciamo questa volta ad arginare la loro manovra e siamo di nuovo sotto con il punteggio. Ma questa è veramente una partita senza un attimo di respiro: riprendiamo il gioco, quasi riusciamo a sfondare con una corsa di Lollo, fermato all’ultimo da due difensori trevigiani che arrivano allo scontro, poi organizziamo un altro bel movimento andando ad esplorare il lato aperto e alla fine la palla arriva fra le mani di Valeria che può di nuovo riportare la partita in parità. 3-3 in poco più di 8 minuti. Successivo attacco, stavolta ottimo lavoro difensivo che porta i nostri avversari a dover tentare un passaggio lungo all’ala, che non riesce troppo bene. Finalmente siamo riusciti a impedire una segnatura: ci abbiamo messo un po’ ma la difesa finalmente ha funzionato. Andiamo al riposo in parità, sapendo dove abbiamo sbagliato e forse come rimediare.

Il secondo tempo non è spettacolare come il primo, ma è anche normale: ci si gioca l’accesso alla finale ed entrambe le squadre sono un po’ più accorte. O forse si inizia ad avere un po’ di paura, perché si commettono anche degli errori banali non visti nel primo tempo. Treviso prova a metterla sul piano della velocità cercando un aggiramento al largo, ma Martina è bravissima a scivolare lateralmente e neutralizzare il tentativo, iniziando il suo personale show difensivo. Palla ancora ai trevigiani, incomprensione fra i nostri due centrali e meta soft che ci riporta in svantaggio. A differenza del primo tempo, sulla ripartenza non riusciamo immediatamente a segnare e quindi il pallone ritorna ai nostri avversari che hanno la possibilità di incrementare il vantaggio. La loro risalita è efficace, raggiungono i nostri 7 metri, giocano una seconda fase allargando la palla e qui Marti compie il suo capolavoro difensivo con un tocco in tuffo sull’attaccante avversario che vale tanto quanto una meta segnata, se non di più, perché toglie sicurezza alle certezze degli avversari. Ecco, da adesso gli arbitri cominciano a prendere qualche decisione un po’ assurda, perché prima ci regalano un possesso prolungato con un fuorigioco discutibile a metà campo, poi sui nostri ripetuti tentativi offensivi, escludono un giocatore avversario anche se eravamo solo al secondo fallo nei 7 metri (normalmente l’esclusione avviene dopo il terzo fallo ripetuto all’interno dell’area dei 7 metri). Fatto sta che beneficiamo di una superiorità numerica e anche se non con una azione proprio fluida, un bel passamano sull’asse Lollo-Mattia-Moira permette a Moira di andare a segnare per la parità con un bellissimo tuffo. Difendiamo bene sulla loro ripartenza, facciamo un drive di risalita da film degli orrori, conteniamo efficacemente un loro tentativo di sfondare in velocità e poi di nuovo una discutibile decisione arbitrale sulla nostra azione di attacco ci impedisce di segnare proprio sulla sirena, quando una giocatrice in netto fuorigioco tocca Mattia che si era lanciato per la meta della vittoria. Va bene così, un errore a favore e uno a sfavore alla fine si bilanciano. E per come è andata la partita è giusto arrivare a giocarsela al drop off.

Non c’è nemmeno un dubbio su chi dovrà scendere in campo: sono Moira, Lorenzo, Manu e Mattia ad avere la responsabilità sulle spalle. Per Manu e Mattia è anche una sorta di rivincita, visto che alle ultime finali del 2019 erano in campo in quell’ottavo di finale terminato con una sconfitta al drop off contro Padova, dopo una gran rimonta nei tempi regolamentari. Anche questo è un altro piccolo cerchio che si chiude.

Abbiamo la prima palla del supplementare, e sappiamo che ha un peso maggiore rispetto a tutti gli altri palloni giocati fino a questo momento. L’impressione che ho da fuori è che loro sentano più di noi la pressione. In fondo sono sempre stati avanti con il risultato e noi ad inseguire, ed ora si ritrovano al drop off dove quello che hai fatto prima non conta più e non hai molte possibilità di riscatto.

Fischio di inizio, saliamo, Moira e Manuela provano a bucare, non passano ma guadagnano una punizione sui 7 metri, palla a Lollo, tocco, Moira gli rialza il pallone, passetto a sinistra, poi a destra, ed ecco lo spazio che si crea fra i due centrali, sufficiente per un tuffo per la meta del primo nostro vantaggio della partita. I nostri quattro restano in campo per difendere e contengono benissimo la sfuriata trevigiana, obbligandoli ad un passaggio lungo che però è in avanti. È praticamente fatta! Scorrono gli ultimi secondi con la palla saldamente in nostro possesso e poi finalmente la sirena!

Si va in finale a giocarci il titolo di Campioni d’Italia!

Ci si può lanciare in campo a festeggiare per il raggiungimento di un risultato fantastico e tanto inseguito, ottenuto dopo una partita giocata a viso aperto contro un’altra grande squadra, che lo avrebbe meritato tanto quanto noi!

Purtroppo, quel despota senza cuore di Elio (ma gli voglio bene lo stesso) mi manda ad arbitrare al turno successivo, quindi mi perdo il discorso di Uto post-partita, e non c’è nessuno che abbia preso appunti da passarmi e quindi rimango solo con i miei pensieri, ad esaltarmi per il risultato.

A questo punto abbiamo un pomeriggio di attesa davanti a noi e di nuovo ognuno lo passa come meglio crede. Stavolta c’è anche la possibilità di rivedersi la partita appena giocata, ed è molto divertente ed emozionante ripercorrere i momenti appena vissuti sul campo, ridendo delle cazzate fatte e inorgogliendosi per le belle cose prodotte.

E così, tra una risata, una merendina e una chiacchiera, arriva il momento di prepararsi alla finale. Non c’è gran che da fare, è inutile organizzare un riscaldamento tutti assieme. Ognuno sa cosa gli serve per provare a dare il meglio. Uto non ha grandi messaggi da comunicarci, se non quello di vivere al massimo il momento che sta arrivando. Non capita tante volte nella vita di una persona di avere l’occasione di raggiungere un traguardo importante, per quanto si tratti di uno sport, perlopiù di nicchia. Come disse Jurgen Klopp prima di una delle tante finali perse: “Se ce la facciamo, fantastico, altrimenti cerchiamo di non farcela nel modo più splendido!”

Il prepartita è il momento più intenso: siamo chiamati uno per uno in campo e quando senti lo speaker scandire il tuo nome, immagino che la sensazione sia la stessa per tutti: intanto speri che lo pronunci correttamente, ma poi senti una scarica di adrenalina correrti giù lungo la schiena, che ti fa entrare in campo ancora più deciso. E subito dopo ecco quel fastidioso retropensiero: speriamo di non inciampare (vabbè, questo era il mio di retropensiero, non credo lo abbiano avuto tutti…). E poi il momento dell’inno nazionale, altro momento estremamente toccante, vissuto centinaia di volte davanti la televisione o dalla tribuna di uno stadio, solo che questa volta l’atleta, chi sta per gareggiare rappresentando quell’inno, sono io, siamo noi. E allora fuori la voce, per quanto stonata, fuori tempo o stridula possa essere, abbracciato ai tuoi compagni quasi a creare un’unica entità.

Ecco, fino a questo momento è stato tutto bellissimo e perfetto. Avevo iniziato scrivendo che questa è una storia di una squadra che è come una famiglia. Una squadra fatta di gente normalissima che prova a fare cose che vanno oltre i propri limiti. Se fossimo in un film americano il finale sarebbe già scritto: la squadra sfigata alla fine vince superando ogni limite e pronostico. Ma questa è una storia italiana, raccontata anche un po’ male, e quindi l’esito è ben lontano dal somigliare a quello di un film. D’altra parte, se è una storia di un cerchio che si chiude, ci può stare che non venga un cerchio proprio perfetto. Per quello ci sarebbe voluto Giotto, noi al massimo abbiamo Gigiotto… che non è che con l’arte se la cavi proprio bene.

Finora non ho ancora parlato dei nostri avversari, i Brianza Toucherz, ma non c’è tanto da dire. Hanno vinto gli ultimi 5 campionati disputati e praticamente tutti i tornei a cui hanno partecipato (forse una volta sono arrivati terzi, ma erano giustificati: giocavano in 5). Partecipano frequentemente a tornei internazionali, raggiungendo posizioni di prestigio anche contro squadre inglesi e francesi, sono stati e sono ancora praticamente tutti rappresentanti della nazionale italiana. Si può riassumere dicendo che sono molto forti, ma credo non renda a sufficienza l’idea. Per dire, l’ultima volta che li abbiamo battuti è stato nel 2014; da allora sono seguite ben 17 sconfitte…

Non è mai bello cominciare una partita pensando di essere battuti, perché le situazioni vanno vissute, affrontate e si deve provare a fare sempre del proprio meglio. Bisogna però essere coscienti della forza e del valore dell’avversario ed evitare di vivere di illusioni. Secondo me approcciamo la partita con il giusto atteggiamento, senza fretta e con accortezza in difesa. Subiamo una loro prima meta, ma riusciamo a rispondere praticamente subito con Lorenzo, che ha disputato veramente delle finali memorabili. Regaliamo una punizione per un fuorigioco sui 7 metri e non puoi concedere queste opportunità a loro, che infatti segnano il 2-1. Non riusciamo a rispondere immediatamente, ma conteniamo bene un paio di attacchi, finché non commettiamo un banalissimo errore su una risalita e regaliamo il pallone ai nostri avversari praticamente a 10 metri dalla linea di meta. Come prima, loro sono perfetti nel punirci e andare sul 3-1. Riprendiamo a giocare e per pochissimo Martina non riesce a ricevere e segnare in tuffo su passaggio lungo di Lollo. Però in una finale, quando sbagli non puoi aspettarti regali dagli avversari, e subito prendiamo la quarta meta. Ci riportiamo in attacco, staremmo anche organizzando un buon movimento, ma sull’ultimo passaggio subiamo un intercetto da parte di Jack, che una volta di più ci ricorda che gli alieni esistono e vivono già in mezzo a noi, e in poco meno di 10 secondi copre i 70 metri di campo da una linea di meta all’altra per portare il risultato sul 5-1, nonostante un generosissimo e disperato tentativo di rincorsa da parte di Manu. Una meta questa che ci abbatte particolarmente e che forse ci demoralizza oltremodo.

In attacco abbiamo poca fantasia per scardinare l’efficientissima difesa brianzola e in difesa, quando non ci perdiamo sull’ultimo dettaglio e li obblighiamo a cercare soluzioni più complesse, loro sono bravissimi a ricorrere al lancio lungo, sempre ottimamente ricevuto dalle loro prontissime ali. Andiamo sul 6-1 prima di un’altra meta di Lorenzo, ancora ben assistito da una inesauribile Manuela. C’è giusto il tempo per la settima meta brianzola prima di andare alla pausa. Il primo tempo termina quindi sul 7-2. Non c’è molto da dirci, è un dato di fatto che loro siano più forti e che noi stiamo facendo quello che possiamo per provare a contenerli e impensierirli, dobbiamo solo continuare a soffrire e dare fondo a tutto quello che abbiamo.

La ripresa inizia esattamente come era finito il primo tempo, ovvero con una loro meta; proviamo a imbastire qualcosa in attacco, ma le poche idee del primo tempo diventano anche più confuse, e così subiamo anche la meta del 9-2. C’è un moto di orgoglio nella bella meta segnata da Gianluca su ottima iniziativa di Mattia, ma sulla successiva difesa, lo stesso sestetto che ha lavorato così bene in attacco va totalmente in bambola e ci ritroviamo sul 10-3 in un attimo. Loro rallentano di poco la velocità di risalita del campo, ma per tutto il resto non sembrano per nulla affaticati, mentre noi a tratti vagabondiamo per il prato. C’è il tempo per la meta del 11-3, stupenda, frutto di un passaggio lungo all’ala, che una volta resasi conto di essere ormai stata bloccata (come al solito da una indemoniata Martina), invece che accontentarsi di un tranquillo tocco, fa un preciso passaggio all’interno per l’accorrente link che va comodamente in meta. Dopo una cosa del genere che altro vuoi fare? Sempre più rassegnati ci ributtiamo in avanti e troviamo finalmente qualche soddisfazione: prima Claudia mette la sua firma anche in questa finale, a completamento di un’altra stagione magistrale, e infine è ancora l’asse Mattia – Gianluca a confezionare la nostra quinta meta, giunta dopo aver subito la dodicesima da parte dei brianzoli, che onorano al meglio la finale giocando comunque dal primo all’ultimo minuto, anche se il risultato era già chiaro al termine del primo tempo.

Alla fine, è un 12-5. Potevamo giocare meglio? Sicuramente sì, alcune mete potevamo evitarle e qualcosa di più in attacco potevamo farlo. Potevamo ottenere più di quanto raggiunto? Oggettivamente, credo di no. A pensarci, in campo, nella finale, ci sono stati dei momenti dove 5 giocatori erano già presenti in quell’altra storica finale raggiunta 10 anni prima. E non è che questi 10 anni non si sentano…

Al fischio finale, il mio primo pensiero va a Valeria e il caso vuole che me la ritrovi proprio davanti. Per lei è stata l’ultima stagione con la maglia gialloblù, e sono contento abbia potuto viversela in questa maniera e far sì che l’ultima partita fosse proprio la finalissima. Peccato per il risultato, ma sono sicuro che non sarà il suo primo ricordo quando ripenserà alla sua avventura sportiva. Le sue parole di saluto poi sono tra le più intense che chi è parte di un gruppo bello come il nostro possa sentire. Non è solo una questione di giocare e raggiungere risultati sportivi. Piuttosto direi che, prendendo spunto da un celebre detto sul rugby, “Il touch è una giornata di battaglie che possono cementare amicizie per tutta una vita”.

Temo che gli addii non siano ancora terminati per quest’anno, ma probabilmente per imbarazzo, emozione o per non sovrapporsi al toccante saluto di Vale, chi doveva comunicarci qualcosa ha preferito tacere ancora per un po’, per non aggiungere altra commozione al momento.

La giornata non è ancora finita, perché alle premiazioni facciamo incetta di trofei. Oltre al premio per il secondo posto, Manuela vince il titolo di miglior giocatrice della stagione, a coronamento di un’altra annata mostruosa, costellata da 20 mete in 38 partite, migliore marcatrice di squadra (a parte le 37 marcature del fenomenale Lollo, che registra numeri da capogiro in tutte le statistiche e avrebbe bisogno di un premio a sé stante). E infine vinciamo anche il premio in memoria di Calvin, un caro amico di tutti i touchers della prima ora. Probabilmente, se ancora oggi continuo ad essere nel mondo del touch e a cercare sempre di divertirmi e dare una mano quando possibile, è perché in un terribile pomeriggio di ottobre del 2010, in uno sperduto campo della periferia milanese, al mio primo torneo, senza sapere cosa stessi facendo (…vi sento che fate i simpatici dicendo che anche ora non so cosa stia facendo…), ho incrociato persone come Calvin, che mi hanno fatto sentire parte di un gruppo allargato in cui tutti possono trovare il loro posto, nonostante le evidenti differenze di età, carattere e modi di essere.

Ecco, ho finalmente concluso questa storia. È lunga, e sicuramente per qualcuno è risultata noiosa. Ma è la mia storia, anzi un pezzo della storia del Verona Touch, anzi… “Sono tante storie, storie di donne e uomini che ci hanno insegnato che bisogna tentare di fare almeno quello che si può.

Sempre.

Nello sport.

Come nella vita.” (J. Buckler)

Ci sono tante persone da ringraziare, chi c’è sempre stato, chi è arrivato da poco e si è inserito come ci conoscessimo da sempre, chi è andato e poi tornato, e tutti in un modo o nell’altro abbiamo contribuito a creare questo, quindi è inutile stare a fare i nomi, perciò eccovi un enorme Grazie a tutti! Due persone in particolare però non si possono non citare: Uto e Marcello. Non serve aggiungere altro!

Ora e sempre

CERCHIO DI FUOCO!

P.S.: Mi sono accorto che non abbiamo nemmeno una foto con la rosa di questa stagione al gran completo, perciò il geniale Mattia è riuscito a creare questo, dove in qualche modo mi pare che ci siamo tutti e 22!